La Caritas del Montalbano Meridionale, che comprende le Parrocchie dei Comuni di Carmignano e Poggio a Caiano, si è riunita nell’austera Chiesa di S. Martino in Campo dove, con l’Eucaristia celebrata da don Antonio Giorgi, ha iniziato i lavori intorno al tema che titola il presente articolo.
In queste giornate, che la Caritas periodicamente celebra, non si fanno conferenze, né lezioni; ci mettiamo semplicemente intorno alla Parola di Dio, cercando di capire ciò che può dire alla nostra vita.
Passare dal fare la Carità all’essere Carità non è impresa facile, direi anzi impossibile, ma siccome a Dio tutto è possibile e Lui sceglie ciò che è fragile (….e noi lo siamo) ci siamo messi in ascolto. Durante la recita di Lodi è stato proclamato un brano del Vangelo di Matteo, tratto dal discorso “della montagna” che segue immediatamente le “Beatitudini” ed è la similitudine del sale e della luce, che noi cristiani siamo chiamati ad essere, seguito da un brano tratto dai “Padri” (lettera di Diogneto) che ci invita ad essere per il mondo quello che l’anima è per il corpo. Fare Carità e solidarietà non è privilegio dei cristiani: anche i non credenti lo fanno, e qualche volta anche meglio di noi. Ma essere Carità vuol dire mettersi all’ultimo posto, così come ha fatto Gesù; dobbiamo essere sale, e come il sale dobbiamo scioglierci fino a sparire: se nella pietanza un chicco di sale rimane intero, quando finisce sotto i denti ci costringe a sputare anche il cibo….così quando, nel fare carità, portiamo noi stessi attendendo gratificazione, saremo come quel boccone gettato.
Carità non è sinonimo di elemosina, ma di amore oblativo, di un amore che dà senza ricevere…come ha fatto Gesù Cristo che è stato davvero per noi come il sale. Infatti, è con la sua morte che ha dato significato (sapore) alla nostra vita. Diceva il compianto Cardinale Tonino Bello: “ Amare voce del verbo morire” , e Gesù nel Vangelo dice:” Se amate quelli che vi amano che merito ne avrete? Anche i pagani lo fanno, ma Io vi dico – Amate i vostri nemici – ”.
Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli, ma non perché poveri; beati piuttosto coloro che hanno lo Spirito di povertà e che lottano perché la miseria nel mondo sia estirpata. Avere lo spirito di povertà vuol dire calarsi in situazione, porsi in un rapporto di comprensione e condivisione per risalire dalla condizione di disagio: quindi non “calare le cose dall’alto” ma servirsene per risalire insieme. Su questi concetti abbiamo pregato, ascoltato, discusso, concludendo che per passare dal fare all’essere dobbiamo porci nelle mani di Dio affinché Egli cambi il nostro cuore e ci guidi in un cammino di conversione che duri tutta la vita. Allora, potremo sperare di essere per l’altro il riflesso della Carità di Dio, e questo ci farà essere sale, luce e lievito.
Ugo Rigacci (diacono)
Articolo pubblicato nel numero 9 del Giornalino “Effetà” Natale 2000